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Compositori

Luciano Berio
Sequenza I
(1958)
per Flauto


Durata: 06:00
Editore: Universal Edition - Wien
1� Esecuzione: Festival - Darmstadt - 1958

La Sequenza per flauto, la prima della serie, mette in gioco tutte le caratteristiche che Berio svilupperà poi attraverso l'intero ciclo. Scritta in un'epoca in cui il virtuosismo di Gazzelloni era stato di stimolo per la creazione di un'abbondante letteratura flautistica, Sequenza l fornisce l'esempio di una relazione necessaria e profonda tra il gesto strumentale e il lavoro di formalizzazione. L'opera dà a tutta prima l'impressione di un flusso sonoro abbondante, di grande volubilità. Alcuni tratti caratteristici, tuttavia, articolano questo continuum, non essendo più il virtuosismo collegato alla rapidità dell'articolazione digitale, bensì alla padronanza dei diversi gradi di organizzazione dell'opera, che vengono incessantemente modificati.
A livello delle altezze, spicca con evidenza l'opposizione tra due strutture armoniche (cromatismo/scala di toni interi, altezze polarizzate/altezze trasposte), accoppiate da determinate modalità di esecuzione (vivace/moderato, staccato/legato, fortissimo/piano).
Berio, però, non mantiene delle entità stabili, che presenterebbero sempre le medesime caratteristiche. Ogni evento è già di per sé un organismo complesso, i cui elementi possono essere dissociati, sviluppati, combinati in modi diversi: una certa struttura di altezze cromatiche sarà sottoposta, più avanti, a un'esecuzione "legato" oppure a una distribuzione dilatata nel tempo; un' altra struttura, basata su una scala per toni interi, verrà suonata "staccato", "vivo" o "fortissimo"... Cosicché la dimensione quasi motivica delle figure del gruppo di partenza è spesso occultata dal processo di sviluppo: proliferazioni melodico-armoniche, trasposizioni letterali o trasformate nei rapporti di tessitura, modificazioni delle modalità esecutive. Una stessa successione di altezze assolute può così avere un significato differente in due diversi punti del brano. A livello macro-strutturale, la forma utilizza questa ambiguità tra coerenza nascosta ed elementi caratteristici, cioè tra due livelli di percezione dell'iterazione (procedimento che ritornerà in Sequenza IX per clarinetto): Berio utilizza due volte la medesima successione di altezze assolute presentata all'inizio, come se si trattasse di una forma di rondò, ma in modo tale che l'ascoltatore non ne riceva alcuna impressione di ripresa o di ritornello.
Ci sono dunque diversi livelli di coerenza e di riconoscimento nell'opera: l'organizzazione delle altezze, che si basa sull'utilizzazione del totale cromatico (la prima frase espone i 12 suoni, senza che Berio si conformi a uno sviluppo seriale meccanicistico, dato che la serie, come accade anche nei lavori di Boulez degli stessi anni, definisce qui dei campi armonici all'interno dei quali le altezze singole sono permutabili), e il carattere "motivico" di certe figurazioni o di opposizioni armoniche e modalità di esecuzione.
Tutti i parametri impiegati mantengono una densità globale costante, e due di essi si presentano sempre al loro massimo livello di intensità. Come spiega il compositore stesso: "La dimensione temporale, dinamica, delle altezze e la dimensione morfologica vengono caratterizzate da un grado massimo, medio e minimo di tensione. Il grado di tensione massima (che è anche grado di eccezionalità in rapporto a una norma generale di convenzione esecutiva) della dimensione temporale si ha nei momenti di massima velocità di articolazione e nei momenti di massima durata del suono, il grado medio è sempre dato da una distribuzione neutra di valori piuttosto lunghi e di articolazioni piuttosto rapide e il grado minimo è costituito dal silenzio o dalla tendenza al silenzio. La dimensione delle altezze è al grado massimo quando le note si spostano su zone ampie del registro su intervalli di maggior tensione, oppure quando insistono sui registri estremi: i gradi medi e minimi ne sono la logica conseguenza. Il grado massimo della dimensione dinamica si ha, naturalmente, nei momenti di massima energia sonora e di massimo contrasto dinamico. Quella che io chiamo dimensione morfologica si pone, invece, per certi aspetti, al servizio delle altre tre, ne è per così dire lo strumento retorico. Essa vuol definire il grado di trasformazione acustica in rapporto a un modello ereditato che, in questo caso, è il flauto con tutte le sue connotazioni storico-acustiche" (LUCIANO BERIO, Intervista sulla musica, a cura di Rossana dal monte, Bari, laterza, 1981).
Queste spiegazioni ci permettono di capire i numerosi cambiamenti di intensità che, a prima vista, sembrano quelli tipici delle composizioni seriali degli anni Cinquanta, ma che rispondono qui a una funzione precisa, legata alla scrittura degli altri parametri. La costante mobilità all'interno di ogni parametro, cosi come i rapporti tra i diversi parametri, consente una discontinuità superficiale caratteristica di tutte le Sequenze (si confronti, a questo proposito, la Sequenza IV).
Cosi come non c'è organizzazione tematica, né un sistema autonomo di gerarchizzazione delle intensità, né una pulsazione di riferimento, nello stesso modo la forma sfugge a qualsiasi schema, dato che la musica viene costruendosi sul momento a partire dal suo proprio materiale e dalle relazioni che, nel corso dell'opera, le conferiscono coerenza. Tuttavia, l'ultima pagina viene percepita come una lunga sezione conclusiva, atteggiamento che compare nella maggior parte delle Sequenze (si veda la melodia finale di Sequenza III o IV; l'impressione di ripresa nella IV ecc.). In questo modo, la forma pare "chiudersi", mentre il materiale è in perpetua estensione. Certi elementi, come ad esempio le appoggiature, si sviluppano linearmente attraverso l'opera. All'inizio, appaiono come ornamentazione e si sviluppano fino ad acquisire una propria autonomia e a modificare la propria funzione: nell'ultima pagina, l'appoggiatura ha eroso la successione delle note principali in una sorta di rovesciamento delle gerarchie. Un procedimento di questo genere è comune nelle Sequenze (si vedano Sequenza IV o la VII). Tale simultaneità tra un processo di sviluppo o di variazione continua e una forma chiusa in cui sono integrate le funzioni di climax e di coda (vale a dire le funzioni drammaturgiche proprie della forma chiusa) è tipica della musica di Berio.
Occorre anche notare che l'opera utilizza per la prima volta i suoni multipli, che in questo caso hanno valore di simboli per una polifonia latente. Allo stesso modo, l'effetto sonoro prodotto con le chiavi appare come una tendenza dell'armonia, che evolve verso il rumore (si confronti l'uso del "frullato" in questa Sequenza, p. 4). Questi "effetti", dunque, non sono gratuiti, bensì legati allo sviluppo organico della composizione.
La dialettica compositiva si instaura tra continuità e discontinuità, fra trame ristrette e allargate, tra cromatismo e scala per toni interi, tra i differenti modi di articolazione, ma anche tra ciò che viene registrato dalla memoria e la coerenza profonda che a essa sfugge: è su questa dialettica che si fonda la teatralità della esecuzione, questa specie di dialogo all'interno stesso del brano che appare come la proiezione del rapporto tra il musicista e il suo strumento, tra l'immagine convenzionale dello strumento e l'originalità dell'opera di Berio.
(Philippe Albèra: Introduction aux neuf sequenzas - "Contrechamps", 1 settembre 1993)