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Compositori

Luigi Nono
Das atmende Klarsein
(1981)
per fl. b., coro picc., nastro magn. e live el.


Durata: 43:00
Editore: Ricordi

Das atmende Klarsein (il respiro della chiarezza) è espressione tratta da Massimo Cacciari dalle Elegie Duinesi di Reiner Maria Rilke. Significativa, nella costellazione di temi filosofici presenti nella riflessione dell'ultimo Nono, la scelta della Settima Elegia del poeta austriaco, dove in apparente paradosso convivono coscienza della fragilità esistenziale ed esaltazione della pienezza dell'essere: quest'ultima manifestantesi in improvvise illuminazioni, nonostante ed anzi grazie a quel tipo di consapevolezza. Se l'unica possibilità di salvarsi dall'azione distruttrice del tempo risiede nell'attesa e nell'auscultazione dell'attimo, sottratto all'implacabile meccanicità del fluire, nello stesso spirito anche la prospettiva temporale in cui ci immerge la musica di Nono è intessuta di istanti di suono, isolati ed offerti al di fuori di qualsiasi logica tecnologicamente ordinata. Di qui la richiesta di natura schiettamente filosofica, di una diversa forma di ascolto, di una rinnovata capacità di attenzione agli eventi minimi che del suono compongono la vita stessa.
Nel testo si combinano parole, dalle Elegie Duinesi di Rilke e da antiche lamellae orfiche. "Dopo la tarda tempesta" (Nach spätem Gewitter), "Fuori nella notte" (Aus Dunkel) sale, si innalza (si ri-crea) l'Aperto, il Disvelato nell' abbagliante mania dei suoi colori, nella chiara luce del suo respiro (ein buntes Offenbares, das atmende Klarsein). Chiarezza che ha colori e respiro - non semplice Luce, perciò, che acceca, e equivarrebbe alla Notte. Felice chi vede questa bellezza nel mondo, diceva ancora Menandro.
Andare alle case di Ade è cercare il luogo dove scorre la fonte di Mnemosine. Dell'augusta dea orfica così parla Giorgio Colli, "il riconoscimento pessimistico dell'illusorietà del mondo che ci circonda trova un compenso teoretico nella sua interpretazione come traccia riflesso, espressione, ricordo di un'anteriore vita divina, immutabile, sottratta al tempo, che Mnemosine ci fa recuperare". "Ora proprio questo inizio staccato può di nuovo venire afferrato durante la nostra vita, se riusciamo a spezzare l'individuazione: è Mnemosine che ci rende capaci di tanto". Durante la nostra vita. Non estasi, né consolazione per il suo fallimento. Questa vita Mnemosine ci rende come vita divina. Essa va narrata all'Angelo nei suoi colori cangianti. Poiché siamo fratelli agli dei, anche se fratelli infelici.
Allora, bevendo alla fonte di Mnemosine "esploriamo", ins Freie, nel Libero, all'Aperto. Il "Freie" qui non è liberazione dal mondo, ma liberazione del mondo dallo sguardo che lo condanna all'insignificanza dell'accadere, del momento che si succede al momento. Momento viene da movere, e anche quella Mnemosine è fonte che muove, che fluisce. Ma essa fluisce ins Freie: non è identica ripetizione, ma ri-creazione. E' Festa, non rito statalizzato. Questo libero, questo aperto è un luogo, un posto (Es wäre ein Platz), un posto per noi gli amanti (die Liebenden), dove costruire torri (Türme), dove provare piacere (Lust).
Piacere che provi se dici, se vedi, se ascolti. Non puoi provarlo soltanto vedendo (eidénal-idea). Il nostro conoscere è condannato al conoscere-solo-guardando. Bisogna provare a dire e sapere ascoltare. Sono arso di sete - per - ciò chiedo di bere alla fonte: "prima" di vederla-saperla. La "ascolto" venire ("Viene uno dei messi / leva frutti gloriosi") - perciò può accadere che venga. Se non si resiste nella dimensione dell'ascolto e del provare a dire, proprio quando l'angoscia distrugge, nel fondo delle dimore di Ade (Kal Apollymal), non si potrà vedere l'Aperto (ein reines Fruchtland) - un luogo, puro, capace di levare quei frutti, non si potrà bere alla fredda fonte di Mnemosine - ma a quella gelata, dell'Oblio.
Ma come irrompere l'intemporale nel tempo? come la vita si sottrae al metro negativo, al nihilismo della durata, dove il passato non è, il futuro non è, e il presente appena pensato è già passato? Ardo di sete: nella distensio desertica del tempo della durata, dell'irreversibile, del consumo, che accatasta morte a morte e catastrofe a catastrofe. Ma già perché ardo di sete, tento alla fonte. Tendere: tendere, attenzione, ascolto. La stessa esperienza della distensio desertica del tempo può farci tendere tutti all'ascolto di una dimensione intemporale del tempo. Esiste un Nunc della creatura misteriosamente affine a quello della figura divina: un attimo della creatura inafferrabile un improvviso frattanto (zwischen zwei Weilen), che il non-più e non-ancora non riescono a catturare, che spezza la durata, che è eccezione rispetto alla sua norma. Questo Nunc da ins Freie: attraverso la sua porta stretta, quasi invisibile, inafferrabile, diamo ins Freie. Esso sta ovunque, può aprirsi ovunque. Non è soltanto alla fine, escatologicamente. O è un fine perennemente possibile. Non sta a noi produrlo - ma sta a noi saperlo attendere, guardando-dicendo-ascoltando.
L'Attimo, il Nunc istantis della creatura, che fa sì che una cosa sia semplicemente, che noi siamo come se a noi appartenesse un Presente, presente viene salutato (Chaire, chaire, chaire) come il phatema, la più piena esperienza che si possa patire. Essa non trascende, non sublima - è traboccante d'esserci (voll Dasein) e abita nel calore del suo Mezzogiorno (in seinem ühlenden Süden). L'Attimo immisurabile "salva" la creatura, non la nega. In esso si dice finalmente che "Hiersein ist viel", che essere qui, che esistere, è ed è molto, Mnemosine ne rinnova instancabile la memoria.
Dunque, parole sul tempo. Non un tempo immobile dalle origini. Neppure il tempo della narrazione, del racconto. Non il tempo lineare della durata irreversibile. Neppure il tempo ciclico. Un tempo che si rinnova negli improvvisi frattanto dell'Attimo, attraverso feste irripetibili. Tempo, da tèmnein, che è tagliare-ritagliare-decidere. Ma Attimi che, intemporali, sono nel tempo, pieni del suo esserci; crisi (Krìnein: distinguere, ancora decidere) del tempo, ma che appartengono al tempo, che non ci liberano da esso nell'Ora immobile dell'Eterno, ma che ci ricreano ogni volta in esso. Non vi è, dunque, itinerario in queste parole, ma la compresenza di questi significati; l'irriducibilità del nostro tempo ad una sola di queste aporie. Patire il pathema vuole dire, forse, per noi tentare di ascoltare insieme nella durata insieme alla volontà di irrompere ins Freie. Un tempo in cui i tempi distinti possano darsi insieme e proprio perché finalmente insieme se ne possa vedere-dire-udire l'infinita differenza.
Riuscire a dire ciò chiaramente, come Klarsein, con voce limpida... Riuscire a percorrere ogni via sapendo che non ve ne sono "d'uscita", senza nostalgia, senza consolazione, ma ogni via...

Massimo Cacciari (da Omaggio a Nono, Scuola di Musica di Fiesole)