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Opere

Franco Donatoni
Arpège
(1986)
per 6 Strumenti


Durata: 12:00
Editore: Ricordi

"Milano, 3 dicembre 1986": la prossimità di Arpège al precedente Refrain non è solo di natura cronologica. Scritta per sei strumenti su commissione di Contrechamps -musique du XX Siècle e dedicata a Philippe Albèra e all'Ensemble Contrechamps, questa ulteriore pagina di Donatoni vive nelle adiacenze di Refrain per numerosi motivi, di organico e di scrittura insieme. Motivi che in ultima analisi sembrano convergere verso un'unica ragione complessiva, individuabile forse nelle peculiarità di tre famiglie strumentali combinate insieme a produrre una mistura timbrica di estrema trasparenza e capaci di trapassare repentinamente da tessiture acuminate e frastagliatissime a impasti di amebica indefinizione: legni, archi e percussione. Più contratta appare la gamma coloristica di Arpège, che, pur ripercorrendo le suddivisioni di Refrain, contiene la sezione percussiva in soli due strumenti (in Refrain erano mandolino, chitarra, arpa e marimba) vibrafono + pianoforte affiancandoli a flauto + clarinetto e a violino + violoncello. Affine inoltre, la presenza di catene di semicrome (in 4/4) unità ritmiche il cui dipanarsi si svolge con densità per certi versi analoga. Ma - forse è suggestione - Arpège sembra cominciare là dove Refrain era terminato, raccogliendone quella crescente instabilità degli insiemi strumentali via via manifestatasi. In Arpège tutto si svolge con minore senso di meccanicità, con una inquietudine che sale più in superficie, i tremolii di archi e fiati che qui divengono pervasivi, impregnano sempre più insistentemente la pagina, ne sfumano i contorni, sempre però nel complesso pericolosamente taglienti. La scienza della permutazione di cui Donatoni è maestro ha qui modo di elaborare ulteriormente i suoi giochi combinatori, tanto criptici quanto vitali. Il quieto viluppo iniziale degli accordi tenuti simultaneamente da vibrafono e pianoforte comprende ciascuno sette suoni che vengono poi fatti esplodere nell'improvviso arpeggio del tutti che imprime al tempo metronomico un brusco colpo di acceleratore. Un po' il rovescio della situazione che si verificava in Refrain. Nello scatenarsi motorio di Arpège, nel proliferare delle figurazioni, nel loro imitare quasi i movimenti a scatti di un mimo è inscritta una costante variegatura degli scenari sonori a cui viene dato di assistere, scene per lo più atteggiate a carillonnements beffardi e che avrebbero conquistato Cocteau, una specie di aprirsi e chiudersi di porte comunicanti dietro le quali si celano sempre nuove sorprese. Un susseguirsi di quadri entro i quali hanno modo di intrufolarsi alcuni degli stilemi famigliari di Donatoni, ivi comprese certe reminiscenze bartokiane che paiono quasi riemergere dai lontani anni predarmstadtiani. Ogni concessione ad eventuali reminiscenze private sembra comunque rimanere lontana dalla lucidissima distaccata ironia del gioco di Donatoni dal suo sguardo disincantato di istrione ammaliatore che occulta con artificio di virtuoso gli spasimi di una coscienza che, dietro la impassibile maschera del Puppenspieler, è percorsa da mille antiche inquietudini.